venerdì 25 settembre 2015

La storia di Lady Jihad raccontata da Marta Serafini

È diventata la terrorista più famosa d’Italia, è la giovane Lady Jihad di cui la stampa italiana si è occupata per mesi. Stiamo parlando di quella ragazza che conoscevamo come Maria Giulia Sergio, giovane donna di origini campane che ha scelto di farsi chiamare, definitivamente, Fatima.
È la giornalista del Corriere della Sera Marta Serafini a raccontare la storia di Fatima nel libro Maria Giulia che divenne Fatima. Storia della donna che ha lasciato l’Italia per l’ISIS, uscito con il quotidiano milanese.



Un testo sconvolgente perché molto realistico, in cui non c’è spazio per l’immaginazione o per le supposizioni: sono i fatti a parlare, ed è la stessa Maria Giulia Sergio a dichiarare alla giornalista - durante una conversazione telefonica che viene trascritta nel prologo – che: 
“Nello Stato Islamico non c’è ingiustizia. C’è solo la giustizia della sharia”.
Sembrerebbero delle confessioni deliranti, e lo sono davvero, se non fosse che dietro queste parole c’è una logica ben precisa, stringente e a cui Fatima si appella per convincere tutta la sua famiglia a trasferirsi in Siria, all’interno dello Stato Islamico, dentro le radici del terrore.
La storia di Maria Giulia viene raccontata dalla Serafini in modo dettagliato, senza tralasciare alcun particolare, ma, ancora prima che la narrazione vera e propria inizi, la giornalista del Corriere della Sera fa due considerazioni molto importanti nell’introduzione: in primis sottolinea la paura che la conversione e dunque l’intero percorso di Fatima, possano essere visti come uno strumento per reclutare nuove giovani, poiché è possibile incappare nel rischio di trasformare Maria Giulia in un vero e proprio personaggio, dunque facilmente trasformabile in “eroina”. In secundis la Serafini all’inizio si chiede: basterà, qualora Maria Giulia decidesse di tornare in Italia, sbatterla in galera per allentare la morsa di una minaccia che, di giorno in giorno, si fa sempre più incombente?
“Cosa succederà quando queste persone o i loro figli faranno ritorno? Saremo in grado di ricucire uno strappo così forte?”
Questo è solo il primo di una serie di interrogativi che il testo pone al lettore.
Si parte dal racconto della giovinezza di Maria Giulia Sergio, una ragazza come tante che nasce a Torre del Greco nel 1987, all’interno di una famiglia semplice, senza pretese: la madre Assunta, che lavora saltuariamente come sarta, il padre Sergio, non particolarmente fortunato nella sua carriera, e la sorella Marianna, anche lei convertita convinta.
Nel 2000 la famiglia decide di trasferirsi al Nord e nel 2007 Maria Giulia inizia la conversione all’Islam, pronunciando, il 14 settembre di quello stesso anno, la sua professione di fede, la shahada. Da qui in avanti assisteremo ad un susseguirsi di eventi che porteranno definitivamente la ragazza a diventare Fatima: nel 2009 inizia ad indossare il niqab, la veste che copre tutto il corpo, occhi esclusi, e si avvia a quello che gli esperti chiamano l’involvement, ossia il coinvolgimento, spiega la Serafini.
Da qui ad arrivare a contattare Bushra Haik, sua coetanea originaria di Bologna ma con passaporto canadese, trasferitasi a Riyad dopo aver sposato un imam, il passo è breve. Bushra offre via Skype, dall’Arabia Saudita, lezioni di arabo e di memorizzazione del Corano: in realtà dietro questa attività culturale si nasconde il vero ruolo di Bushra, ossia reclutatrice dell’ISIS. Bushra fa proselitismo via Skype, diffonde materiali e opuscoli tradotti in italiano e con modi affabili e dolci attira a sé tante giovani reclute femminili. Tra cui, ovviamente, Maria Giulia.
Qualche raccomandazione in fatto di discrezione, assicurazioni sulle condizioni sanitarie nell’Is e sulla vita che il Califfato offre ai suoi sudditi, e il gioco è fatto. Non resta altro da fare che sposare il musulmano prescelto, Aldo Kobuzi “in arte” Said, e volare così fino in Siria, meta agognata.
La parte più difficile, per Fatima, resta quella di convincere anche la sua famiglia a trasferirsi: la mamma Assunta è la più restìa, troppi dubbi, troppe insicurezze, non se la sente di lasciare tutti gli agi per andare in un Paese straniero che, magari, non ha neanche la lavatrice. E papà Sergio con la pensione come farà? La liquidazione, prima di un certo periodo di tempo, sembra non poter arrivare.
Tutti i dettagli, minuziosamente descritti, sono riportati in queste pagine di una sconvolgente durezza, ma una su tutte resta la qualità più grande di questo testo: Marta Serafini non dà risposte certe, estraendole dal cappello magico, ma pone soprattutto domande; non si erge a giudice supremo di ciò che racconta, ma è attenta a rivelare tutta la verità mantenendo una posizione lucida e distaccata. Fin da subito la giornalista chiede e si chiede quali siano le cause reali che portano al dilagante consenso dell’ISIS, senza fermarsi alla semplice testimonianza dei fatti.
Due sono i punti di forza del saggio: uno è sicuramente quello di parlare anche e soprattutto della condizione delle donne all’interno dell’Is. Marta Serafini, durante un intervento allo scorso Festival del Giornalismo di Perugia, aveva già accennato al ruolo delle donne all’interno del Califfato: ci sono le schiave, ci sono le compagne dei capi e ci sono le donne che vengono considerate idonee alla propaganda e anche al combattimento. In Maria Giulia che divenne Fatima il discorso si amplia e, dopo aver dato un esaustivo quadro della vita nello Stato Islamico e di come si svolgono le fasi di reclutamento e di trasferimento in Siria, si puntano i riflettori sul ruolo femminile e sulla evoluzione – presunta – di tale ruolo all’interno del mondo islamico del Califfato.
Se da una parte esistono, ora e sempre, donne che devono vivere relegate all’interno dell’ambiente casalingo, la cui unica preoccupazione è quella di cucinare per i fratelli e per i propri mariti, dall’altra sicuramente si avverte un cambiamento in tutt’altra direzione. Spiega la Serafini che ci sono state testimonianze di soldati curdi che affermano di aver ucciso delle cecchine dell’ISIS in Iraq, senza considerare il fatto che, da qualche tempo, circola un video di propaganda che vede un gruppo di donne, completamente velate, 
“mentre si addestra a sparare vicino alla chiesa di San Simeone in Siria”.
Sono piccoli indizi che svelano, tuttavia, come la situazione stia lentamente cambiando ed inoltre non fanno altro che mettere in risalto le forti contraddizioni dello Stato Islamico: alle donne viene imposto il velo, vengono trattate non più che come schiave, il cui unico compito sarebbe quello di soddisfare i soldati, salvo poi trovarle a ricoprire un ruolo di massima importanza, non solo nella struttura assistenziale dello Stato, ma nel più virile dei contesti, ossia il campo di battaglia.
Detto ciò, passiamo al secondo punto forte del libro: l’asse Italia-Albania. Non è un caso che il matrimonio tra Maria Giulia e Aldo Kobuzi sia quello tra un’italiana e un albanese, poiché la ragione di questa unione ha una spiegazione: il tessuto italiano e quello albanese sono molto simili. Partendo dal fatto che, come ben sappiamo, il reclutamento e la conversione di uomini provenienti da popolazioni disagiate, siano indubbiamente più semplici - poiché il jihadismo trova terreno fertile laddove difficoltà economica e ignoranza dilagano – tuttavia, nel caso in questione, ci sono delle differenze importanti tra le due famiglie.
Per i Kobuzi sono le moschee il primo contatto con il fondamentalismo, mentre per i Sergio no, perché è proprio la rete albanese che permette a Maria Giulia, e ad Aldo, di arrivare in Siria.
“La radicalizzazione albanese ha infatti avuto ripercussioni anche sull’Italia”.
Come dichiara Marta Serafini, molti esponenti dell’Islam radicale hanno vissuto e lavorato in Italia e questo ha permesso loro di intessere una certa rete di contatti e quindi di prendere parte alla propaganda e al reclutamento.
Questi due aspetti sono i punti chiave attorno a cui ruota il saggio della Serafini, che si prodiga nella spiegazione minuziosa di tutte le fasi cruciali che portano cittadini europei e non, come Maria Giulia e Aldo, a diventare dei veri e propri foreign fighters, ormai cuore pulsante del Califfato nero.
La storia di Fatima, che ha lasciato l’Italia per l’ISIS, è solo una delle tante storie che, purtroppo, arrivano da tutto il mondo, perché come ricorda Barbara Stefanelli nella postfazione al libro (usando a sua volta le parole di Abdel Bari Atwan, giornalista e saggista) dietro la sigla IS si cela
“un territorio ben amministrato, con una burocrazia efficiente rispetto alla media regionale (…) scuole con programmi definiti e una grande esperienza militare”.
Non solo. A questo Stato sempre più in crescita sulle mappe fisiche del Medio Oriente corrisponde anche uno Stato Islamico che si serve di tutte le tecnologie a disposizione per fare propaganda e per espandersi anche a livello digitale: web, social network, video, immagini.
Marta Serafini ci regala un testo eccellente. Leggere per capire. Comprendere per potersi fare delle domande.. Aver paura, ma con coraggio e consapevolezza.

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