È diventata la
terrorista più famosa d’Italia, è la giovane Lady Jihad di cui la stampa
italiana si è occupata per mesi. Stiamo parlando di quella ragazza che
conoscevamo come Maria Giulia Sergio, giovane donna di origini campane che ha
scelto di farsi chiamare, definitivamente, Fatima.
È la giornalista
del Corriere della Sera Marta Serafini a raccontare la storia di Fatima nel
libro Maria Giulia che divenne Fatima. Storia della donna che ha lasciato
l’Italia per l’ISIS, uscito con il quotidiano milanese.
Un testo
sconvolgente perché molto realistico, in cui non c’è spazio per l’immaginazione
o per le supposizioni: sono i fatti a parlare, ed è la stessa Maria Giulia
Sergio a dichiarare alla giornalista - durante una conversazione telefonica che
viene trascritta nel prologo – che:
“Nello Stato Islamico non c’è ingiustizia. C’è solo la giustizia della sharia”.
Sembrerebbero
delle confessioni deliranti, e lo sono davvero, se non fosse che dietro queste
parole c’è una logica ben precisa, stringente e a cui Fatima si appella per
convincere tutta la sua famiglia a trasferirsi in Siria, all’interno dello
Stato Islamico, dentro le radici del terrore.
La storia di
Maria Giulia viene raccontata dalla Serafini in modo dettagliato, senza
tralasciare alcun particolare, ma, ancora prima che la narrazione vera e
propria inizi, la giornalista del Corriere della Sera fa due considerazioni
molto importanti nell’introduzione: in
primis sottolinea la paura che la conversione e dunque l’intero percorso di
Fatima, possano essere visti come uno strumento per reclutare nuove giovani,
poiché è possibile incappare nel rischio di trasformare Maria Giulia in un vero
e proprio personaggio, dunque facilmente trasformabile in “eroina”. In secundis la Serafini all’inizio si
chiede: basterà, qualora Maria Giulia decidesse di tornare in Italia, sbatterla
in galera per allentare la morsa di una minaccia che, di giorno in giorno, si
fa sempre più incombente?
“Cosa succederà quando queste persone o i loro figli faranno ritorno? Saremo in grado di ricucire uno strappo così forte?”
Questo è solo il
primo di una serie di interrogativi che il testo pone al lettore.
Si parte dal
racconto della giovinezza di Maria Giulia Sergio, una ragazza come tante che nasce
a Torre del Greco nel 1987, all’interno di una famiglia semplice, senza
pretese: la madre Assunta, che lavora saltuariamente come sarta, il padre
Sergio, non particolarmente fortunato nella sua carriera, e la sorella
Marianna, anche lei convertita convinta.
Nel 2000 la
famiglia decide di trasferirsi al Nord e nel 2007 Maria Giulia inizia la conversione
all’Islam, pronunciando, il 14 settembre di quello stesso anno, la sua
professione di fede, la shahada. Da
qui in avanti assisteremo ad un susseguirsi di eventi che porteranno definitivamente
la ragazza a diventare Fatima: nel 2009 inizia ad indossare il niqab, la veste che copre tutto il
corpo, occhi esclusi, e si avvia a quello che gli esperti chiamano l’involvement, ossia il coinvolgimento,
spiega la Serafini.
Da qui ad arrivare
a contattare Bushra Haik, sua coetanea originaria di Bologna ma con passaporto
canadese, trasferitasi a Riyad dopo aver sposato un imam, il passo è breve.
Bushra offre via Skype, dall’Arabia Saudita, lezioni di arabo e di
memorizzazione del Corano: in realtà dietro questa attività culturale si
nasconde il vero ruolo di Bushra, ossia reclutatrice dell’ISIS. Bushra fa proselitismo
via Skype, diffonde materiali e opuscoli tradotti in italiano e con modi
affabili e dolci attira a sé tante giovani reclute femminili. Tra cui,
ovviamente, Maria Giulia.
Qualche
raccomandazione in fatto di discrezione, assicurazioni sulle condizioni
sanitarie nell’Is e sulla vita che il Califfato offre ai suoi sudditi, e il
gioco è fatto. Non resta altro da fare che sposare il musulmano prescelto, Aldo
Kobuzi “in arte” Said, e volare così fino in Siria, meta agognata.
La parte più
difficile, per Fatima, resta quella di convincere anche la sua famiglia a trasferirsi:
la mamma Assunta è la più restìa, troppi dubbi, troppe insicurezze, non se la
sente di lasciare tutti gli agi per andare in un Paese straniero che, magari,
non ha neanche la lavatrice. E papà Sergio con la pensione come farà? La liquidazione,
prima di un certo periodo di tempo, sembra non poter arrivare.
Tutti i
dettagli, minuziosamente descritti, sono riportati in queste pagine di una
sconvolgente durezza, ma una su tutte resta la qualità più grande di questo
testo: Marta Serafini non dà risposte certe, estraendole dal cappello magico,
ma pone soprattutto domande; non si erge a giudice supremo di ciò che racconta,
ma è attenta a rivelare tutta la verità mantenendo una posizione lucida e
distaccata. Fin da subito la giornalista chiede e si chiede quali siano le
cause reali che portano al dilagante consenso dell’ISIS, senza fermarsi alla
semplice testimonianza dei fatti.
Due sono i punti
di forza del saggio: uno è sicuramente quello di parlare anche e soprattutto
della condizione delle donne all’interno dell’Is. Marta Serafini, durante un
intervento allo scorso Festival del Giornalismo di Perugia, aveva già accennato
al ruolo delle donne all’interno del Califfato: ci sono le schiave, ci sono le
compagne dei capi e ci sono le donne che vengono considerate idonee alla
propaganda e anche al combattimento. In Maria Giulia che divenne Fatima il
discorso si amplia e, dopo aver dato un esaustivo quadro della vita nello Stato
Islamico e di come si svolgono le fasi di reclutamento e di trasferimento in
Siria, si puntano i riflettori sul ruolo femminile e sulla evoluzione –
presunta – di tale ruolo all’interno del mondo islamico del Califfato.
Se da una parte
esistono, ora e sempre, donne che devono vivere relegate all’interno dell’ambiente
casalingo, la cui unica preoccupazione è quella di cucinare per i fratelli e
per i propri mariti, dall’altra sicuramente si avverte un cambiamento in tutt’altra
direzione. Spiega la Serafini che ci sono state testimonianze di soldati curdi
che affermano di aver ucciso delle cecchine dell’ISIS in Iraq, senza considerare
il fatto che, da qualche tempo, circola un video di propaganda che vede un
gruppo di donne, completamente velate,
“mentre si addestra a sparare vicino alla chiesa di San Simeone in Siria”.
Sono piccoli
indizi che svelano, tuttavia, come la situazione stia lentamente cambiando ed
inoltre non fanno altro che mettere in risalto le forti contraddizioni dello
Stato Islamico: alle donne viene imposto il velo, vengono trattate non più che
come schiave, il cui unico compito sarebbe quello di soddisfare i soldati,
salvo poi trovarle a ricoprire un ruolo di massima importanza, non solo nella
struttura assistenziale dello Stato, ma nel più virile dei contesti, ossia il
campo di battaglia.
Detto ciò,
passiamo al secondo punto forte del libro: l’asse Italia-Albania. Non è un caso
che il matrimonio tra Maria Giulia e Aldo Kobuzi sia quello tra un’italiana e un
albanese, poiché la ragione di questa unione ha una spiegazione: il tessuto
italiano e quello albanese sono molto simili. Partendo dal fatto che, come ben
sappiamo, il reclutamento e la conversione di uomini provenienti da popolazioni
disagiate, siano indubbiamente più semplici - poiché il jihadismo trova terreno fertile laddove difficoltà economica e
ignoranza dilagano – tuttavia, nel caso in questione, ci sono delle differenze
importanti tra le due famiglie.
Per i Kobuzi
sono le moschee il primo contatto con il fondamentalismo, mentre per i Sergio
no, perché è proprio la rete albanese che permette a Maria Giulia, e ad Aldo,
di arrivare in Siria.
“La radicalizzazione albanese ha infatti avuto ripercussioni anche sull’Italia”.
Come dichiara
Marta Serafini, molti esponenti dell’Islam radicale hanno vissuto e lavorato in
Italia e questo ha permesso loro di intessere una certa rete di contatti e
quindi di prendere parte alla propaganda e al reclutamento.
Questi due
aspetti sono i punti chiave attorno a cui ruota il saggio della Serafini, che
si prodiga nella spiegazione minuziosa di tutte le fasi cruciali che portano
cittadini europei e non, come Maria Giulia e Aldo, a diventare dei veri e
propri foreign fighters, ormai cuore
pulsante del Califfato nero.
La storia di
Fatima, che ha lasciato l’Italia per l’ISIS, è solo una delle tante storie che,
purtroppo, arrivano da tutto il mondo, perché come ricorda Barbara Stefanelli
nella postfazione al libro (usando a sua volta le parole di Abdel Bari Atwan,
giornalista e saggista) dietro la sigla IS si cela
“un territorio ben amministrato, con una burocrazia efficiente rispetto alla media regionale (…) scuole con programmi definiti e una grande esperienza militare”.
Non solo. A
questo Stato sempre più in crescita sulle mappe fisiche del Medio Oriente
corrisponde anche uno Stato Islamico che si serve di tutte le tecnologie a
disposizione per fare propaganda e per espandersi anche a livello digitale:
web, social network, video, immagini.
Marta Serafini ci regala un testo eccellente. Leggere per capire. Comprendere per potersi fare delle domande.. Aver paura, ma con coraggio e consapevolezza.
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