Speaker radiofonica, lettrice forte, scrittrice per passione ma ancora non per professione, ma soprattutto giovane donna eclettica e dinamica. Stiamo parlando di Maria Francesca Stancapiano, ligure di nascita, vissuta a lungo in Toscana e ora residente ad Osimo, nelle Marche.
Maria Francesca è nota come conduttrice radiofonica del suo programma Note di bordo. Un viaggio fra le righe, in cui ad ogni puntata si alternano ospiti di grande calibro: scrittori, artisti, lettori DOC, cantanti, attori. Una trasmissione a tutto tondo che dà spazio alla creatività di Maria Francesca e alla curiosità del pubblico.
Ma per scoprire davvero chi è Maria Francesca Stancapiano e farci raccontare qualcosa di più sulle sue passioni e su Note di bordo, ecco a voi l'intervista che ho realizzato alla speaker.
Buona lettura!
Chi è Maria
Francesca Stancapiano? Scegli una parola, un aggettivo o un verbo che ti stia
bene addosso e parti da lì per dirci chi sei.
Incostante
sognatrice. Ribelle al mondo. Amante dell’amore e della gentilezza. Animale
socievole e misantropo allo stesso tempo. Un cervello non mi basta per le
troppe idee a cui devo dare subito aria. Vivere, credo, sia il verbo che più mi
si addice. Mai privarsi delle emozioni. Di qualsiasi emozione. Potresti davvero
farti del male.
Mi parli di
un sogno, quello di viaggiare. Non a caso la tua trasmissione radiofonica si
intitola Note di bordo. Un viaggio fra le righe. Innanzitutto ti chiedo: come
nasce Note di bordo, qual è la sua storia? E poi: cos’è il viaggio per te? In
che modo si può viaggiare all’interno della tua trasmissione?
Un giorno,
durante l’ennesimo trasloco, da Pisa ad Osimo, ho riaperto i miei 8 moleskine
di ben 8 anni. Li ho riletti pagina per pagina, ripercorrendo tutto: dai viaggi
in treno, le stazioni nuove, il cuore infranto e poi di nuovo incollato. I
tempi dell’università. I tempi del teatro e dei lavori saltuari. Lisbona.
Parigi. De Andrè ed i piedi che percuotevano la terra, di notte, a suon di una
taranta. Allora mi sono detta: “Ma perché tenersi tutto dentro?”, “Perché non
raccontarsi tramite quei viaggi fatti e quelli che avrei voluto fare a chi
ancora non mi conosce, in un paese nuovo?”. Come? Con la radio. Ecco che mi sono
presentata, con la mia faccia tosta, presso l’ente radiofonica Agoradio. Ho
parlato del mio progetto e, dopo una settimana, siamo partiti con la prima
puntata registrata. L’emozione è stata grande. Mi preparavo ogni giorno.
Davanti allo schermo bianco del mio computer. Non sapevo da dove iniziare,
dovevo scrivere tutto. “Improvvisare in radio alla prima puntata? Mai”. E
siccome volevo essere precisa, proprio dalla prima puntata ho deciso di scrivere
tutto, ogni puntata, anche lo stacco musicale. Avrei avuto solo 30 minuti e,
per facilitarmi la questione, dare anche un titolo, con diversi sottotitoli:
“Ad occhi chiusi”. Viaggiare, per me, è sempre stata una grande conquista. E
non intendo solo soldi in tasca, zaino pieno e piedi sempre stanchi per il
troppo camminare. Sarebbe bello se ogni giorno potessi prendere un aereo, un
treno, un bus e cambiare paese, città, regione. Viaggiare per me innanzitutto
vuol dire spogliarsi di ogni giudizio e pregiudizio. È come arrivare “vergini”
di fronte ad ogni essere o situazione. Meravigliarsi di tutto. Come se
quell’odore di carne alla brace, quei colori forti, quegli occhi marroni o
azzurri, quei cieli e quei mari e quei monti non li avessimo mai visti e
sentiti prima di ora. E non è semplice. Lo so. Richiede un buon esercizio di
umiltà e di voglia di contaminarsi. Ecco cos’è per me in primis viaggiare:
contaminarsi con umiltà, nella meravigliosa azione di meravigliarsi.
“Mi trovo qui
con voi in una piccola stanza. Un paio di cuffie; un microfono. E con un grande
potere. Un potere che non è solo mio. Il potere di non vederci. E, di
conseguenza, di immaginarci. Pensate
alla magia della radio. Può avvicinarci molto più di quanto pensiate. Io non vi
conosco e voi non conoscete me. Però basta una voce per immaginare, basta una
nota per, ad occhi chiusi, iniziare un cammino insieme. E magari i colori non
saranno gli stessi per tutti. Ma sarà il solito viaggio. Di nuovo, ad occhi
chiusi. Si perché ad occhi chiusi possiamo permetterci di entrare laddove
nell’immaginario collettivo non possiamo. Perché ad occhi chiusi un viaggio non
ha prezzo. Perché ad occhi chiusi possiamo ricordare, con un sorriso o
arricciando il naso.” Così ho iniziato a viaggiare in radio.
Sei, dunque,
anche un’appassionata lettrice e per questo sono curiosa di sapere se hai un
libro preferito e perché.
Ho sempre amato
leggere. Ricordo che da ragazzina, al liceo, dentro lo zaino (indistruttibile
Invicta) mettevo un libro in più. Erano i classici che mi innamoravano, che mi
insegnavano ad amare e ad odiare. E mentre un po’ di latino e di greco veniva
scritto alla lavagna, io, di nascosto, tiravo fuori da sotto il banco quei
libri, con l’ansia di proseguire nella lettura e capire come andasse a finire,
fino a quando non ricevevo il rimprovero dalla professoressa.
Ricordo un
giorno d’estate. Eravamo al mare. Mia madre aveva appena di finito di leggere un
libro. Io non avevo niente e di prendere solamente il sole non mi andava. Così
presi il suo libro ed iniziai quel nuovo viaggio. Quel libro era Follia di
Patrick Mc Grath: romanzo psicologico, dove tutti i sentimenti vengono vomitati
così, come sono. Dove non c’è paura se non quella di non aver vissuto. Fu il
primo libro che mi impressionò al punto tale da divorarlo in due ore e mezzo e
non rendermi conto di avere preso una notevole scottatura alle gambe.
Si dice che
in Italia si legga poco, siamo forse il Paese in cui si legge di meno. Secondo
te è vero? In che modo, dal tuo punto di vista, si potrebbe invitare alla
lettura, soprattutto i giovani?
Ai nostri tempi,
e parlo di non molti anni fa (anni ’90), leggere era molto più semplice di
adesso. Non avevamo cellulari e nemmeno i computer (almeno io), eravamo la
generazione dei diari segreti, del “parliamoci guardandoci in faccia”, della
telefonata attesa da un unico telefono, quello a fili in casa e se ci davamo un
appuntamento era per forza quello perché non c’era altra rintracciabilità se
non nella fiducia della parola data. E le librerie in casa erano piene di libri
letti, perché anche quello diventava ulteriore argomento su cui confrontarsi.
Oggi è tutto molto più semplice e veloce. Troppo. Non c’è tempo di
meravigliarsi più, di guardarsi occhi negli occhi e di fidarsi. Siamo sempre
sotto controllo. Dai social network alla messaggistica istantanea e non è più
un libro che può stupire, ma un “commento” o “status” di esseri sconosciuti e
virtuali.
Inutile
nascondersi dietro un filo d’erba. Anch’io faccio parte di questa rete
peccaminosa e “meccaminosa”. Sono curiosa, però credo che in questa rete sia
necessario valorizzare il divertimento e non uno stile di vita, poiché quest’ultimo
rimane nelle tradizioni, che sì, si evolvono nel tempo, ma partendo da una base
preesistente. Ricordiamoci che siamo essere umani intelligenti, capaci di
discernere il bene dal male e dunque anche il troppo. È importante riacquistare
la fiducia da trasmettere ed è importante odorare pagine di libri. Non è
possibile – né giusto ormai – debellare i social? Bene, allora facciamoci
entrare il libro tradizionale. Come? Destando curiosità con contest, tag,
hashtag, contest instagrammers (che sono tanti). Credo che il libro, a quel
punto, possa davvero tornare di moda.
Da buona
conduttrice radiofonica sei, chiaramente, anche amante della buona musica. So
che ami molto Chet Baker ed in generale tutta la musica jazz. C’è un pezzo
musicale a cui sei più legata? Che ti ricordi, magari, un bel momento della tua
vita, anche a livello professionale.
Ho capito e
scoperto il jazz tardi (verso i 30). Mi rendevo conto che comprenderlo,
specialmente, non era semplice, perché ogni canzone aveva il suo ritmo
specifico. Andavo ai concerti jazz e…sì, mi divertivo. Cercavo addirittura di
dare una familiarità agli strumenti: ad esempio il contrabbasso diventava il
nonno, la voce saggia. I fiati, i nipoti. La batteria, un padre emotivo al
momento giusto, che rincorre i pensieri degli altri. E così via. Ho sempre
cercato di vedere la famiglia in ogni cosa.
Chet Baker è
stato un musicista dolcemente ruffiano, un musicista maledettamente perfetto
nello standard jazz. Eppure non è suo il mio pezzo musicale preferito. Take
the A Train è uno standard jazz composto da Billy Strayhorn.
La canzone era
stata composta nel 1938, e il suo titolo fa riferimento all'espresso 'A' della
metropolitana di New York che all'epoca andava dall'estremo est di Brooklyn
fino ad Harlem e all'estremo nord di Manhattan, connettendo quelli che al tempo
erano i più popolosi quartieri di colore, Bedford Stuyvesant e Harlem. Una
canzone che ha un titolo nato “per caso” . Ellington fu positivamente colpito
dalla canzone e chiese a Strayhorn che titolo avesse, ma Strayhorn era così
emozionato che l’unica cosa che gli venne in mente fu la frase che si era
ripetuto mentalmente più volte mentre andava là, per paura di prendere la linea
sbagliata, cioè le istruzioni che aveva ricevuto per arrivare ad Harlem! Fu
così che il pezzo prese il titolo di Take the A train. Ecco perché mi emoziona
sentirla (ha il fischio di un treno come leitmotiv), trasmette energia
positiva, movimento ed ha una storia semplicemente geniale. Per ogni canzone,
non mi fermo a ciò che ascolt, ma anche alla sua storia. E questa la trovo come
un cappotto su misura per me.
Da Pisa ad
Osimo con furore: come sei arrivata qui nelle Marche? Cosa ti ha colpito di più
di questa terra così semplice?
Sono arrivata
qui con una macchina piena di 14 anni passati a Pisa. E la roba, ti assicuro,
non era poca. Da animo nomade, mi sono detta che era arrivato il momento giusto
per cambiare e le tenere colline marchigiane, la semplicità, la genuinità, il prezioso
patrimonio artistico ben tenuto mi hanno fatto innamorare ulteriormente di
questa regione. Avevo bisogno di pace. Le marche godono di molta umiltà. Forse
troppa. Ricordo il giorno in cui andai a vedere per la prima volta Recanati e quindi
poi la siepe. Scoppiai a piangere come una bambina, e non perché tuonava e
faceva tanto freddo, ma perché quella siepe esisteva. Quella siepe che “E
questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”.
Quella siepe la
stavo guardando anch’io. Non so se rendo l’idea dell’emozione.
Oltre a
leggere so che scrivi, anche. Con quale forma letteraria ti esprimi? E cosa
rappresenta per te la scrittura?
La scrittura
nella mia vita nasce prima della lettura. Avevo bisogno di raccontarmi laddove
non riuscivo a capirmi. Avevo 12 anni circa quando comprai un quaderno dalla
copertina rigida bordeaux a fiori piccoli bianchi. Iniziai con la prima poesia,
poi con un’altra, poi con un’altra ancora.
A fine giornata, ogni giorno, me ne stavo seduta sulla mia scrivania a
scrivere. Era il mio appuntamento segreto. Da quel giorno non ho più smesso.
Smettere di scrivere sarebbe, per me, come smettere di respirare. Scrivo per
capirmi. Ecco perché giro sempre con una agenda molenskine ed una penna. Scrivo
poesie, racconti. Ed ho nel cassetto un libro. Chissà…
Quale sarà il
prossimo viaggio che intraprenderai con Note di bordo?
Il viaggio non
lo conduco io. Ma le pagine dei miei diari. Dei libri che leggo e dei vostri
occhi e delle vostre energie. Per cui: è questa la ricetta.
Il programma radiofonico Note di bordo. Un viaggio fra le righe
va in onda:
Sabato 93.100 FM SU AGORADIO
DOMENICA ORE 18.00
LUNEDÌ ORE 10.15
MARTEDÌ ORE 18.30
GIOVEDÌ ORE 10.30
VENERDÌ ORE 18.30
Alcune immagini di Maria Francesca Stancapiano:
Contatti:
E-mail: mf.dicom@gmail.com