venerdì 2 ottobre 2015

Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei (forse)

Carissimi e affezionati (mi auguro, sennò peggio per voi) lettori,
quest'oggi non vi ammorberò l'esistenza con recensioni, interviste o articoli di svariata natura, ma farò una cosa ancora più crudele. Vi farò un riassunto di tutto quello che ho scritto da luglio fino ad ora.
Eh sì, perché io sono qui per soccorrervi, per venire in vostro aiuto quando non avete idea di cosa leggere, quando non sapete quale autore pescare dal mazzo, insomma, quando proprio non riuscite a dimenarvi nel mare magnum della letteratura contemporanea.



E perciò, bando alle ciance! Qui troverete tutti i link ai miei articoli apparsi su QUESTO BLOG, su GHIGLIOTTINA.IT, su THE FIELDER e su SOLOLIBRI.NET. Con qualche incursione - che non guasta - su KULTURAL.

Buona lettura e... ditemi quale libro avrete scelto e vi dirò chi siete! (Più o meno)



SE QUESTO E' UN LIBRO :

- Intervista a Maria Francesca Stancapiano: parliamo di viaggi, libri, musica e del suo programma radiofonico Note di bordo. Un viaggio fra le righe

- Recensione di Maria Giulia che divenne Fatima della giornalista del Corriere della Sera Marta    Serafini

- Recensione I ricordi non si lavano di Aurora Frola (Edizioni della Sera)

- Recensione Lo Scuru di Orazio Labbate (tunué)


- Articolo sulla presentazione al Futura Festival de L'Amalassunta di Pier Franco Brandimarte (Giunti) (con foto)






SOLOLIBRI.NET :














GHIGLIOTTINA.IT :









THE FIELDER :






Su KULTURAL :





Un riepilogo di tutti gli articoli da settembre 2014 ad oggi lo trovate cliccando su:





Non mi resta che augurarvi BUONA LETTURA!


Note di bordo. Un viaggio fra le righe... in compagnia di Maria Francesca Stancapiano

Speaker radiofonica, lettrice forte, scrittrice per passione ma ancora non per professione, ma soprattutto giovane donna eclettica e dinamica. Stiamo parlando di Maria Francesca Stancapiano, ligure di nascita, vissuta a lungo in Toscana e ora residente ad Osimo, nelle Marche.
Maria Francesca è nota come conduttrice radiofonica del suo programma Note di bordo. Un viaggio fra le righe, in cui ad ogni puntata si alternano ospiti di grande calibro: scrittori, artisti, lettori DOC, cantanti, attori. Una trasmissione a tutto tondo che dà spazio alla creatività di Maria Francesca e alla curiosità del pubblico.

Ma per scoprire davvero chi è Maria Francesca Stancapiano e farci raccontare qualcosa di più sulle sue passioni e su Note di bordo, ecco a voi l'intervista che ho realizzato alla speaker.

Buona lettura!


Chi è Maria Francesca Stancapiano? Scegli una parola, un aggettivo o un verbo che ti stia bene addosso e parti da lì per dirci chi sei.
Incostante sognatrice. Ribelle al mondo. Amante dell’amore e della gentilezza. Animale socievole e misantropo allo stesso tempo. Un cervello non mi basta per le troppe idee a cui devo dare subito aria. Vivere, credo, sia il verbo che più mi si addice. Mai privarsi delle emozioni. Di qualsiasi emozione. Potresti davvero farti del male.

Mi parli di un sogno, quello di viaggiare. Non a caso la tua trasmissione radiofonica si intitola Note di bordo. Un viaggio fra le righe. Innanzitutto ti chiedo: come nasce Note di bordo, qual è la sua storia? E poi: cos’è il viaggio per te? In che modo si può viaggiare all’interno della tua trasmissione?
Un giorno, durante l’ennesimo trasloco, da Pisa ad Osimo, ho riaperto i miei 8 moleskine di ben 8 anni. Li ho riletti pagina per pagina, ripercorrendo tutto: dai viaggi in treno, le stazioni nuove, il cuore infranto e poi di nuovo incollato. I tempi dell’università. I tempi del teatro e dei lavori saltuari. Lisbona. Parigi. De Andrè ed i piedi che percuotevano la terra, di notte, a suon di una taranta. Allora mi sono detta: “Ma perché tenersi tutto dentro?”, “Perché non raccontarsi tramite quei viaggi fatti e quelli che avrei voluto fare a chi ancora non mi conosce, in un paese nuovo?”. Come? Con la radio. Ecco che mi sono presentata, con la mia faccia tosta, presso l’ente radiofonica Agoradio. Ho parlato del mio progetto e, dopo una settimana, siamo partiti con la prima puntata registrata. L’emozione è stata grande. Mi preparavo ogni giorno. Davanti allo schermo bianco del mio computer. Non sapevo da dove iniziare, dovevo scrivere tutto. “Improvvisare in radio alla prima puntata? Mai”. E siccome volevo essere precisa, proprio dalla prima puntata ho deciso di scrivere tutto, ogni puntata, anche lo stacco musicale. Avrei avuto solo 30 minuti e, per facilitarmi la questione, dare anche un titolo, con diversi sottotitoli: “Ad occhi chiusi”. Viaggiare, per me, è sempre stata una grande conquista. E non intendo solo soldi in tasca, zaino pieno e piedi sempre stanchi per il troppo camminare. Sarebbe bello se ogni giorno potessi prendere un aereo, un treno, un bus e cambiare paese, città, regione. Viaggiare per me innanzitutto vuol dire spogliarsi di ogni giudizio e pregiudizio. È come arrivare “vergini” di fronte ad ogni essere o situazione. Meravigliarsi di tutto. Come se quell’odore di carne alla brace, quei colori forti, quegli occhi marroni o azzurri, quei cieli e quei mari e quei monti non li avessimo mai visti e sentiti prima di ora. E non è semplice. Lo so. Richiede un buon esercizio di umiltà e di voglia di contaminarsi. Ecco cos’è per me in primis viaggiare: contaminarsi con umiltà, nella meravigliosa azione di meravigliarsi.
“Mi trovo qui con voi in una piccola stanza. Un paio di cuffie; un microfono. E con un grande potere. Un potere che non è solo mio. Il potere di non vederci. E, di conseguenza, di immaginarci.  Pensate alla magia della radio. Può avvicinarci molto più di quanto pensiate. Io non vi conosco e voi non conoscete me. Però basta una voce per immaginare, basta una nota per, ad occhi chiusi, iniziare un cammino insieme. E magari i colori non saranno gli stessi per tutti. Ma sarà il solito viaggio. Di nuovo, ad occhi chiusi. Si perché ad occhi chiusi possiamo permetterci di entrare laddove nell’immaginario collettivo non possiamo. Perché ad occhi chiusi un viaggio non ha prezzo. Perché ad occhi chiusi possiamo ricordare, con un sorriso o arricciando il naso.” Così ho iniziato a viaggiare in radio.

Sei, dunque, anche un’appassionata lettrice e per questo sono curiosa di sapere se hai un libro preferito e perché.
Ho sempre amato leggere. Ricordo che da ragazzina, al liceo, dentro lo zaino (indistruttibile Invicta) mettevo un libro in più. Erano i classici che mi innamoravano, che mi insegnavano ad amare e ad odiare. E mentre un po’ di latino e di greco veniva scritto alla lavagna, io, di nascosto, tiravo fuori da sotto il banco quei libri, con l’ansia di proseguire nella lettura e capire come andasse a finire, fino a quando non ricevevo il rimprovero dalla professoressa.
Ricordo un giorno d’estate. Eravamo al mare. Mia madre aveva appena di finito di leggere un libro. Io non avevo niente e di prendere solamente il sole non mi andava. Così presi il suo libro ed iniziai quel nuovo viaggio. Quel libro era Follia di Patrick Mc Grath: romanzo psicologico, dove tutti i sentimenti vengono vomitati così, come sono. Dove non c’è paura se non quella di non aver vissuto. Fu il primo libro che mi impressionò al punto tale da divorarlo in due ore e mezzo e non rendermi conto di avere preso una notevole scottatura alle gambe.

Si dice che in Italia si legga poco, siamo forse il Paese in cui si legge di meno. Secondo te è vero? In che modo, dal tuo punto di vista, si potrebbe invitare alla lettura, soprattutto i giovani? 
Ai nostri tempi, e parlo di non molti anni fa (anni ’90), leggere era molto più semplice di adesso. Non avevamo cellulari e nemmeno i computer (almeno io), eravamo la generazione dei diari segreti, del “parliamoci guardandoci in faccia”, della telefonata attesa da un unico telefono, quello a fili in casa e se ci davamo un appuntamento era per forza quello perché non c’era altra rintracciabilità se non nella fiducia della parola data. E le librerie in casa erano piene di libri letti, perché anche quello diventava ulteriore argomento su cui confrontarsi. Oggi è tutto molto più semplice e veloce. Troppo. Non c’è tempo di meravigliarsi più, di guardarsi occhi negli occhi e di fidarsi. Siamo sempre sotto controllo. Dai social network alla messaggistica istantanea e non è più un libro che può stupire, ma un “commento” o “status” di esseri sconosciuti e virtuali.
Inutile nascondersi dietro un filo d’erba. Anch’io faccio parte di questa rete peccaminosa e “meccaminosa”. Sono curiosa, però credo che in questa rete sia necessario valorizzare il divertimento e non uno stile di vita, poiché quest’ultimo rimane nelle tradizioni, che sì, si evolvono nel tempo, ma partendo da una base preesistente. Ricordiamoci che siamo essere umani intelligenti, capaci di discernere il bene dal male e dunque anche il troppo. È importante riacquistare la fiducia da trasmettere ed è importante odorare pagine di libri. Non è possibile – né giusto ormai – debellare i social? Bene, allora facciamoci entrare il libro tradizionale. Come? Destando curiosità con contest, tag, hashtag, contest instagrammers (che sono tanti). Credo che il libro, a quel punto, possa davvero tornare di moda.

Da buona conduttrice radiofonica sei, chiaramente, anche amante della buona musica. So che ami molto Chet Baker ed in generale tutta la musica jazz. C’è un pezzo musicale a cui sei più legata? Che ti ricordi, magari, un bel momento della tua vita, anche a livello professionale. 
Ho capito e scoperto il jazz tardi (verso i 30). Mi rendevo conto che comprenderlo, specialmente, non era semplice, perché ogni canzone aveva il suo ritmo specifico. Andavo ai concerti jazz e…sì, mi divertivo. Cercavo addirittura di dare una familiarità agli strumenti: ad esempio il contrabbasso diventava il nonno, la voce saggia. I fiati, i nipoti. La batteria, un padre emotivo al momento giusto, che rincorre i pensieri degli altri. E così via. Ho sempre cercato di vedere la famiglia in ogni cosa.
Chet Baker è stato un musicista dolcemente ruffiano, un musicista maledettamente perfetto nello standard jazz. Eppure non è suo il mio pezzo musicale preferito. Take the A Train è uno standard jazz composto da Billy Strayhorn.
La canzone era stata composta nel 1938, e il suo titolo fa riferimento all'espresso 'A' della metropolitana di New York che all'epoca andava dall'estremo est di Brooklyn fino ad Harlem e all'estremo nord di Manhattan, connettendo quelli che al tempo erano i più popolosi quartieri di colore, Bedford Stuyvesant e Harlem. Una canzone che ha un titolo nato “per caso” . Ellington fu positivamente colpito dalla canzone e chiese a Strayhorn che titolo avesse, ma Strayhorn era così emozionato che l’unica cosa che gli venne in mente fu la frase che si era ripetuto mentalmente più volte mentre andava là, per paura di prendere la linea sbagliata, cioè le istruzioni che aveva ricevuto per arrivare ad Harlem! Fu così che il pezzo prese il titolo di Take the A train. Ecco perché mi emoziona sentirla (ha il fischio di un treno come leitmotiv), trasmette energia positiva, movimento ed ha una storia semplicemente geniale. Per ogni canzone, non mi fermo a ciò che ascolt, ma anche alla sua storia. E questa la trovo come un cappotto su misura per me.

Da Pisa ad Osimo con furore: come sei arrivata qui nelle Marche? Cosa ti ha colpito di più di questa terra così semplice?
Sono arrivata qui con una macchina piena di 14 anni passati a Pisa. E la roba, ti assicuro, non era poca. Da animo nomade, mi sono detta che era arrivato il momento giusto per cambiare e le tenere colline marchigiane, la semplicità, la genuinità, il prezioso patrimonio artistico ben tenuto mi hanno fatto innamorare ulteriormente di questa regione. Avevo bisogno di pace. Le marche godono di molta umiltà. Forse troppa. Ricordo il giorno in cui andai a vedere per la prima volta Recanati e quindi poi la siepe. Scoppiai a piangere come una bambina, e non perché tuonava e faceva tanto freddo, ma perché quella siepe esisteva. Quella siepe che “E questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”.
Quella siepe la stavo guardando anch’io. Non so se rendo l’idea dell’emozione.

Oltre a leggere so che scrivi, anche. Con quale forma letteraria ti esprimi? E cosa rappresenta per te la scrittura?
La scrittura nella mia vita nasce prima della lettura. Avevo bisogno di raccontarmi laddove non riuscivo a capirmi. Avevo 12 anni circa quando comprai un quaderno dalla copertina rigida bordeaux a fiori piccoli bianchi. Iniziai con la prima poesia, poi con un’altra,  poi con un’altra ancora. A fine giornata, ogni giorno, me ne stavo seduta sulla mia scrivania a scrivere. Era il mio appuntamento segreto. Da quel giorno non ho più smesso. Smettere di scrivere sarebbe, per me, come smettere di respirare. Scrivo per capirmi. Ecco perché giro sempre con una agenda molenskine ed una penna. Scrivo poesie, racconti. Ed ho nel cassetto un libro. Chissà…

Quale sarà il prossimo viaggio che intraprenderai con Note di bordo?
Il viaggio non lo conduco io. Ma le pagine dei miei diari. Dei libri che leggo e dei vostri occhi e delle vostre energie. Per cui: è questa la ricetta.


Il programma radiofonico Note di bordo. Un viaggio fra le righe
va in onda:

Sabato 93.100 FM SU AGORADIO

Sul web www.agoradiotv.it i:
DOMENICA ORE 18.00
LUNEDÌ ORE 10.15
MARTEDÌ ORE 18.30
GIOVEDÌ ORE 10.30
VENERDÌ ORE 18.30


Alcune immagini di Maria Francesca Stancapiano:



Contatti:

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