mercoledì 20 gennaio 2016

CentroInsieme Oblus: progetti di vita vera a Scampia

Quando nascono progetti validi e prendono vita associazioni come quella di CentroInsieme Onlus, è piacevolmente doveroso parlarne. Quello di CentroInsieme Onlus è un team nutrito, fatto di persone con tanta speranza e soprattutto con tanta voglia di contribuire al miglioramento della vita dei bambini e dei ragazzi di Scampia.
Da semplice progetto, Vela: rendere consapevoli diventa una vera e propria associazione, CentroInsieme Progetto Vela: rendere consapevoli, un’Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale (appunto Onlus), con l’intento di ideare, realizzare e promuovere progetti di solidarietà a favore dei più piccoli abitanti di Scampia. L’obiettivo principale è quello di cercare di contrastare l’abbandono scolastico, allontanando i bambini dalla strada e, quindi, da tutti i rischi ad essa collegati. Nella fattispecie, CentroInsieme Onlus è diventato un punto di riferimento per questi ragazzi in difficoltà, si è trasformato in un vero e proprio centro di educazione e ri-educazione alla vita, una comunità in continua crescita che offre la mano al prossimo in modo creativo e mirato.
Il Presidente dell’associazione è il poeta partenopeo Vincenzo Monfregola, mentre la vice Presidente è Patrizia Mincione, ma le figure chiave di CentroInsieme sono molte, a partire dai volontari e dal Consiglio Direttivo; il progetto Vela: rendere consapevoli ha come base una collaborazione precedente fra la Fondazione Un Raggio di Luce Onlus, la Casa della Solidarietà di Quarrata, il Centro Don Milani, le comunità parrocchiali di Vicofaro e Ramini. Lo scopo era quello di contrastare, anche in questo caso ovviamente, il degrado e la violenza che caratterizzano, tristemente, il territorio di Scampia.
Questa collaborazione ha visto un punto di approdo inziale con la realizzazione della mostra fotografica Scampia, volti che interrogano ed è proprio da qui che nasce l’idea di allargare un progetto così importante come quello portato avanti da CentroInsieme Onlus.
Ma per capire meglio di cosa stiamo parlando e degli obiettivi reali di questa associazione - che quest’anno ha bandito il primo concorso nazionale di poesia Una Poesia per il futuro, qui tutti i dettagli e sotto – abbiamo parlato con Ivan Caldarese, Cooperatore di una rete esterna al territorio di Scampia a sostegno dell’Associazione.
aa (1)
Ivan hai conosciuto CentroInsieme come e quando?
Ho conosciuto la realtà di CentroInsieme Onlus esattamente qualche anno fa, tramite il presidente dell'associazione, Vincenzo Monfregola. Era una conoscenza virtuale, fatta di telefonate, consigli , strategie e soluzioni da trovare per il bene dei bambini e la crescita dell'associazione stessa.
Tutti in prima fila è stato un evento che si è tenuto lo scorso settembre (11-12-13) a Scampia ed ha avuto un buon successo di pubblico e di partecipanti. In quell’occasione il CentroInsieme ha raccontato il cambiamento e la crescita dei suoi obiettivi. Potete considerare il lavoro svolto soddisfacente?
Il lavoro di quei magnifici tre giorni è stato spossante ma utile ed incredibilmente significativo.  Tutti in prima fila ha avuto un successo incredibile, dietro a quell'evento si è mossa la rete delle associazioni di tutta Italia. Sono intervenuti assessori, insegnanti,  volontari da tutta la nazione, è stato bellissimo. 
Cosa ti ha spinto ad adottare l’Associazione, qual è il motivo per cui scatta quella molla emotiva che ti porta vicino a quei bambini, a tal punto di organizzare delle iniziative a sostegno del CentroInsieme?
Come dicevo prima, già virtualmente si trovavano strategie e soluzioni. Poi i tre giorni di Tutti in prima fila hanno fatto sì che i miei passi, mossi in quei giorni, tra i bambini del CentroInsieme, tra le loro parole, tra i loro sorrisi, i loro sguardi e le loro storie mi abbiano fatto rendere conto che bisognava fare qualcosa. Bisognava rimboccarsi le maniche e regalare una possibilità diversa a quei bambini, alle Vele di Scampia, a quelle persone.  Bisognava rendere possibile quel sogno di cambiare le cose che vedevo nei loro occhi. Poi c'è stato un attimo che mi ha scosso sul serio. Eravamo nella palestra che conterrà i laboratori del CentroInsieme, una scuola costruita e mai usata che era adibita a piazza di spaccio per gli stupefacenti, ora ripulita e quasi ristrutturata per ospitare le associazioni: un bambino mi prese per mano e dopo qualche secondo si fermò, mi guardò negli occhi e mi disse: “Ma adesso io e te siamo amici?” Io lo guardai negli occhi, erano bellissimi e sembravano pieni di saggezza, e risposi: “Certo, ma in un qualche modo lo eravamo già”.
Veniamo ora al primo grande concorso promosso quest’anno dall’associazione: parliamo di Una poesia per il futuro, concorso nazionale di poesia. Come nasce e quali obiettivi si pone?
L'idea è quella di creare un concorso di poesia che serva non solo a raccogliere dei fondi per la ristrutturazione della nuova sede e per le attività ricreative del centro, ma anche e soprattutto che faccia in modo che i bambini si rendano conto che con la cultura, la poesia, con le parole, è possibile muovere le persone, è possibile cambiare le situazioni, è possibile trasformare il mondo. CentroInsieme opera principalmente contro la dispersione scolastica dei bambini delle Vele. Ci sono volontari ed operatori che li aiutano facendogli dopo scuola, così abbiamo anche pensato di coinvolgere le scuole a livello Nazionale, elementari (terza e quarta), medie e superiori. Tutti abbiamo qualcosa da dire, siamo tutti poeti in qualche modo, e questa è una bellissima iniziativa per dare voce a chi vuole far parte del cambiamento.
dalisi (1)
Sappiamo che quella di Scampia è una realtà dura, difficile e soprattutto complessa, di cui forse si parla sempre mostrando solo uno degli aspetti che la caratterizza ed in modo sbrigativo e spesso superficiale. Tu che hai preso consapevolezza, da svariati anni, di questa realtà, cosa ne pensi? Credi sia realmente possibile, anche grazie all’associazione, una rinascita per questo quartiere in seria difficoltà?
Personalmente credo ci sia una grandissima voglia di cambiamento tra le persone, che viene di conseguenza trasmessa ai bambini e ai ragazzi, e penso che le possibilità per far sì che questo cambiamento  non rimanga solo un sogno,  ci siano. Le associazioni che operano nel territorio sono molte e tutte ricoprono ruoli molto importanti, dallo sport, al giardinaggio, al ballo, ai percorsi in bicicletta, ecc... Se notiamo bene tutte queste cose sembrano una distaccata dall'altra ma inconsapevolmente riportiamo , tutti insieme, i bambini su una strada socialmente corretta e utile, una strada costruttiva. La rinascita del quartiere è già avvenuta, ci vuole solo il suo tempo.
Locandina (1)
“Una poesia per il futuro” – come partecipare, tutte le info: https://www.facebook.com/events/1694707154098665/
CentroInsieme Onlus - Progetto Vela: Rendere Consapevoli
C.F. 95194560637
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venerdì 15 gennaio 2016

ANNUNCIAZIONE, ANNUNCIAZIONE!


Buongiorno amici lettori!

Oggi vesto i panni dell'angelo che porta buone novelle e quindi sto per dirvi che...cambiamo casa!

Ebbene sì, il blog si sposterà a questo indirizzo:

https://giuliaciarapica.wordpress.com/


Ovviamente sarò sempre io a gestire il tutto, ho solo pensato che ci volevo una bella rinfrescata!

Che ne dite? Fatemi sapere se il nuovo blog vi piace!

Chiaramente continueremo a parlare di libri, procederemo con le interviste agli autori e con le video recensioni (che potete trovare anche sul mio canale YouTube Giulia Ciarapica).


Mi raccomando divulgate la notizia, fate girare e...vi aspetto di là! :-D


lunedì 11 gennaio 2016

Misteri, manzetti, cinghiali e una zia che mannaggiallamiseria

Immaginate un detective privato, uno di quelli che sembrano usciti da un film degli anni ’40, con una strabordante ironia (anche nelle situazioni meno opportune, su, diciamolo…) e un debole per le belle signore. Immaginate anche un lago, buio, limaccioso, sinistro (e certo perché sennò che noir è?), una storia di intrighi e vendette, e immaginate anche che in questa storiaccia ci siano di mezzo due donne e una cospicua eredità (già le due donne insieme sarebbero state abbastanza inquietanti).



Fatto? Bene, eccovi servito Mistero sul lago nero di Massimo Cassani (Laurana editore, 2015, pp. 251, con una splendida copertina disegnata da Angela Varani), un romanzo che è a metà fra l’hard boiled, il giallo con il più classico – ma solo apparentemente – degli investigatori e il comico, una miscela esplosiva che ha reso questo libro uno fra i più divertenti e accattivanti romanzi usciti alla fine del 2015.
“Un piano, ecco cosa mi ci vorrebbe! O una bella sbornia”.
(Foto di Nikita Guardini presso Rizzoli Galleria Milano)

 Mario Borri, professione investigatore privato, anni sessantacinque, operativo in quel di Milano, è ormai arrivato alle soglie della pensione: come concludere tanti anni di onorata carriera se non risolvendo un ultimo intricatissimo caso?  E se poi a chiedere aiuto a questo arzillo ma non più giovanissimo amante delle belle donne è proprio una bella donna dai “capelli fulvi”, è impossibile rinunciare.
Il caso, però, si prospetterà più complicato del previsto, fin da subito: innanzitutto bisogna spostarsi da Milano – ah, quant’è bella Milano – e prendere la strada che porta a Viràte al Lago (no, non ho scritto male), sperduto paesino in cui troviamo un lago (ovviamente il lago di cui sopra, quello buio e limaccioso e sinistro etc etc) e tante anime in pena che lo popolano. Ma più che anime in pena sembrerebbero anime destinate a far penare il povero Borri, che dovrà destreggiarsi tra l’ostinato mutismo degli abitanti, una notevole collezione di multe, cinghiali e relativo guardiano dei cinghiali e un piano diabolico ordito alle sue spalle.
Eppure la richiesta di quella fanciulla dai capelli fulvi, dall’aria sì snob, ma complessivamente normale, alta, bella e ben vestita, sembrava un gioco da ragazzi per il nostro investigatore – che ci tiene a precisare che è un professionista, lui. In fondo gli ha semplicemente chiesto di tenere d’occhio la sua sorellina – “un po’ ochetta” – o per meglio dire, gli avrebbe chiesto di prenderla in castagna fotografandola in atteggiamenti inequivocabili insieme all’amante di turno, perché si dà il caso che tanto la cliente quanto la sorella siano le uniche ereditiere di una grossa somma di denaro, lasciata dalla loro defunta zia – molto religiosa, molto molto, tenetelo presente. Peccato ci sia una clausola non trascurabile: un anno di astinenza per entrambe, dall’alcool per la cliente di Borri, dal sesso per la sorellina ochetta. Intesi?
Ma questo lavoretto all’apparenza facile facile si dimostrerà difficile difficile. Naturale, dopotutto, vuoi mica andare in pensione senza aver fatto qualche fuoco d’artificio?
Dalla penna arguta e sarcasticamente umoristica di Massimo Cassani prende vita un personaggio, quello di Mario Borri, che nel suo metro e sessantacinque scarso concentra intuito, scaltrezza, audacia e più di un pizzico di sottile (ma forse neanche troppo sottile) ironia. Quello che si presenta come il più classico degli investigatori di tutta la storia dei gialli – completo di lino, borsalino, un bicchiere di whisky sempre a portata di mano, ché non si sa mai, la sua inseparabile Berta e una Renault color cacca che forse James Bond avrebbe leggermente disprezzato, ma si fa quel che si può – in realtà è un tipetto niente male che sa cacciarsi nei guai al momento giusto nel luogo giusto, vale a dire esattamente quando non dovrebbe. E in fin dei conti bisogna dire che l’originalità di questo detective sta nel fatto che è lontano anni luce dalla definizione di detective classico, data da Siegfried Kracauer:
“Al detective vengono così riconosciute anche le qualità proprie del monaco. Simile a colui che se ne sta isolato nella propria cella, il detective sprofonda nelle proprie meditazioni, accompagnato solo dall’immancabile pipa, che sul piano estetico rivela la sua separazione dalla gente”.
Isolato nelle sue meditazioni? Isolato dalla gente? Accompagnato dalla pipa? No, no, non ci siamo, qui si parla di un professionista sì, ma sui generis, e che però, in quanto professionista per l’appunto, alla fine riesce sempre a cavarsela – magari con l’aiuto di qualche relitto umano, chissà.
Questa trama originale e ricca di colpi di scena è infarcita anche di presunti ammiccamenti cinematografici – oltre al fatto che si presterebbe benissimo a diventare un film di successo: ho annusato un vago umorismo in stile Mel Brooks ed in più c’è un particolare che fa capolino ogni tanto, è il mignolo di Borri. Questo ditino che quando avverte un pericolo o una qualche situazione particolare inizia ad agitarsi, mi ricorda tanto l’altro dito famoso della storia del cinema, l’indice del bimbetto di Shining, quello che si muoveva al ritmo della “luccicanza”, ricordate, no?

Mistero sul lago nero di Massimo Cassani è il nuovo volto del thriller contemporaneo, inzuppato di un’ironia che vi farà sorridere per tutta la durata del romanzo. 

(Foto di Grazia Napoli)

Quattro chiacchiere in compagnia di... Massimo Cassani


Massimo Cassani, professione giornalista e non investigatore privato, sei già al tuo sesto lavoro, Mistero sul lago nero, ma questa volta non troviamo il commissario Micuzzi, bensì un sessantacinquenne alle soglie della pensione di nome Borri. Chi è costui?
Mario Borri è un ometto di centosessantacinque centimetri d’altezza che per quarant’anni ha battuto i marciapiedi andando a caccia di corna, muovendosi, atteggiandosi e tentando di parlare come una specie di Humprey Bogard, ma essendo - e apparendo - tutto l’opposto. Gli piace raccontarsi così, gli piace sentirsi come un personaggio di un film noir anni ’40. Ognuno hai i suoi modelli. A me, però, alla fine della storia, è venuto anche un dubbio: e se Borri ci abbia raccontato un sacco di balle? Se questa storia che Borri ci racconta in prima persona come vera sia in realtà frutto della sua immaginazione? Pensa a certi termini colti che usa o a certi suoi riferimenti all’architettura o alla Bibbia un po’ troppo in contrasto con l’immagine da uomo della strada che vuole venderci; o al suo progetto dichiarato di ritritarsi in Riviera a scrivere romanzi. Un messaggio subliminale? Ma non sarà che dietro all’investigatore privato Mario Borri si celi in realtà uno scrittore che non vuole rivelarci la sua vera identità? Sono dubbi che mi sono venuti e che consegno al lettore.

Anche lo scenario cambia – purtroppo per Borri, oltretutto. Non siamo a Milano, la tanto amata Milano, ma in un paesino lacuale sperduto e preda dei cinghiali (e anche dei manzetti, se vogliamo dirla tutta). E quindi giro il dito nella piaga e ti chiedo: cosa apprezzi di più di Milano e perché?
Io non sono nato a Milano, ma con Milano, per ragioni famigliari, ho sempre avuto un legame molto stretto. Milano era presente nel mio immaginario personale fin da bambino. Quando mi sono trasferito qui, mi è sembrato quasi di tornare a casa, senza per altro lasciare mai, mentalmente, la mia casa originaria, in provincia di Varese. Di Milano mi piace pensare che me ne posso andare quando voglio e ci posso tornare quando voglio. Se qualcuno pensa che stia parafrasando malamente Cesare Pavese, ha ragione.

Ora vorrei chiederti una cosa che è soprattutto una curiosità personale, ma che forse molti lettori si saranno chiesti. Tu che dal 2010 collabori con “La Bottega di narrazione”, scuola di scrittura creativa di Laurana editore, condotta da Giulio Mozzi e Gabriele Dadati, ci sveli come si fa a partorire una storia intricata e piena di colpi di scena come quella che hai elaborato tu? Da dove si parte?
Difficile rispondere in poche righe. Cioè, anche in tante, a dire il vero. Sulla costruzione della trama ci sono fior di trattati di narratologia, per altro piuttosto complicati a leggersi, per lo meno per me. Provo a dire una cosa. La costruzione di una trama è un processo di selezione di eventi logicamente e cronologicamente concatenati fra di loro. Quando si pensa a una storia, in genere, ci vengono in mente situazioni che possono essere efficaci, dal punto di vista narrativo, ma scollegate, come spesso sono scollegati i pensieri. Il vero lavoro dello scrivere è la tessitura fra questi eventi, cercando sempre di mettersi dalla parte di chi legge e pensare: quanto è prevedibile quanto sto scrivendo? Se noi per primi non ci sorprendiamo, via, scartare. E pensare a nuove soluzioni fin dove ci supporta l’immaginazione. Spero di essere stato sufficientemente confuso.

Quali sono – se ne hai – i modelli a cui ti sei ispirato e da cui hai tratto i maggiori insegnamenti per scrivere i tuoi noir? In sostanza, quali sono i tuoi grandi classici del cuore?
Purtroppo, prima di mettermi a scrivere, non sono mai stato un gran lettore di romanzi di genere, poi mi è sembrato naturale cercare di capire cosa avevano scritto i grandi. Da lì sono venute anche letture di Chandler e Hammet, per esempio. Senza rendermene conto, fra i venti e i trent’anni, sono rimasto in ammollo in Simenon, soprattutto dei suoi romanzi non polizieschi, e in Guido Morselli. Al di là delle letture, credo però che il mio immaginario narrativo si sia formato soprattutto al cinema. In certi periodi andavo al cinema anche due o tre volte a settimana. Poi ho cercato di smettere.

A bruciapelo: tre motivi per leggere il tuo libro.
Fa sorridere. Fa sorridere. Fa sorridere.

A bruciapelo: tre motivi per non leggere il tuo libro.
C’è poco da ridere, con i tempi che corrono (signora mia…). Gli altri due motivi non mi vengono (dài, sorridi).

Eppur manca qualcosa... l'illustratrice!



Quattro chiacchiere con Angela Varani

(Foto di Aldo Funicelli)

1) Appena ho visto la copertina di Mistero sul lago nero di Massimo Cassani ho esclamato: “È lei!”, e infatti sei tu. Ovviamente non parlo del soggetto della copertina – l’investigatore privato Mario Borri – ma dell’autrice. Angela, quando hai letto il romanzo di Massimo, ti sei subito immaginata, anche fisicamente, il detective Borri?
Ciao Giulia, intanto grazie per avermi chiamato in causa. Sono felicissima di aver realizzato la copertina di Mistero sul lago nero di Massimo Cassani, ed essere "riconosciuta" è per me un grandissimo complimento, quindi grazie ancora.
Ricordo il pomeriggio in cui ho incontrato l'autore e la casa editrice.
Agosto. Milano era deserta e c'era un caldo infuocato. Dopo aver letto il materiale fornitomi, ciò che mi ha permesso veramente di visualizzare il detective Borri è stato chiacchierare con Massimo. Confrontarci.  Non ho avuto dubbi dal primo momento: quella era la faccia e l'espressione di Borri. Dovevo solo decidere da dove "inquadrarlo" e come gestire il mood del lago di background.

2) So che, oltre a disegnare, anche tu hai la passione per la lettura. Qual è il genere che preferisci? C’è un libro preferito che ti sentiresti di consigliare?
Amo leggere, questo è vero. Quello che è anche vero è che vorrei avere il tempo per leggere di più.
Fino almeno ai vent'anni ho letto principalmente gialli. Ho un amore spassionato per Agatha Christie, che è stata una costante tra generi e autori differenti.
Da un po' di tempo a questa parte, invece, ho alternato piuttosto equamente la lettura di romanzi e noir di autori contemporanei, alla saggistica. Recentemente ho letto La nausea di J.P. Sartre e ho appena concluso Lo straniero di A. Camus.  In questo periodo gli esistenzialisti mi stanno dando spunti di riflessione davvero molto attuali.
Per rispondere bene alla tua domanda, però, ti dico che non ho un libro o un genere preferito. Dipende da come mi sento. Un po' la stessa cosa che mi succede con una canzone o un genere musicale.

3) Angela, ci illustri la tua attività di illustratrice? Da dove nasce questa passione? Quanto tempo impieghi, mediamente, a fare un ritratto?
Disegno da tutta la vita. Mia mamma è una pittrice. Io vivo l’urgenza di dire “la mia” disegnando. Fare del proprio essere anche il proprio lavoro è un grande privilegio.
Disegno tantissimo. Disegno sempre. E mi do. Mi do all'illustrazione che realizzo e ai colori che scelgo. Così tanto che per un periodo ho fatto addirittura fatica a staccarmi dai miei lavori, perché con loro andava via anche un po' di me.
Tutt'oggi ci sono sempre anch'io in ogni tratto, ma diciamo che ho imparato a gestire la cosa.
Essere un'illustratrice è la mia condizione ideale.
Per realizzare un ritratto le tempistiche possono cambiare in base al soggetto, alla dimensione e alla variabile costante di un lavoro artistico. In parole povere: dipende se becco subito la somiglianza o no! Ahahaha! Ad ogni modo, il tempo medio è di un paio di giorni.



4) C’è un ritratto, un disegno, tra tutti quelli che hai realizzato, a cui ti senti più legata? Se sì, quale e perché?
"L'omino col peso".
Credo sia stata la prima figura umana che ho disegnato. Mentre i bambini  facevano mostri e le femmine principesse, io disegnavo l'omino con il peso. Lo disegnavo ovunque. Vestito solo con pantaloncini, fiero e sorridente che spingeva il manubrio al cielo con braccine indecise.

5) Chi volesse seguire i tuoi lavori dove può rintracciarti?
Sul mio sito angelavarani.com, oltre al portfolio e ai lavori, si trovano tutte le informazioni che riguardano la mia attività e anche qualche curiosità.
Poi ci sono i social. Da facebook www.facebook.com/angelavaraniillustration a instagram o pinterest, twitter dove sono https://twitter.com/angelavarani.
Grazie ancora, Giulia, per le domande e per l'attenzione dedicatami!

...a voi una buona lettura!

Video intervista a Carla Magnani, autrice di "Acuto" (Gilgamesh Edizioni)

Buongiorno amici lettori!



Ho deciso di iniziare questa settimana con qualcosa di assolutamente nuovo, e dunque inedito: la prima video intervista all'autore.

Ho avuto un piacevole incontro con Carla Magnani, autrice di Acuto (Gilgamesh Edizioni), un esordio letterario che indaga le emozioni e le esperienze di vita di una donna alle prese con un passato che torna a galla dopo tanto tempo, prepotentemente.

E mentre la storia le stava passando accanto, lei l’osservava con gli occhi di chi vuole caparbiamente restarne fuori”.La Storia, è vero, può essere traditrice, riesce ad entusiasmare e a demolire quasi nello stesso momento, lei, che è padre e madre di noi figli smarriti, un po’ succubi un po’ ribelli. Ma c’è chi con la storia, col tempo che passa e cambia le cose, con le trasformazioni della società e dell’individuo proprio non vuole avere niente a che fare, perché vorrebbe restare lì, fermo nel recinto di sicurezze che si è ritagliato e in cui si è perfettamente ambientato.Stiamo parlando di Elisa, la protagonista di Acuto, romanzo d’esordio di Carla Magnani pubblicato da Gilgamesh Edizioni.  
Questo è un estratto della mia recensione ad "Acuto", che trovate, completa, qui.
Ma per darvi un'idea ulteriore di ciò di cui stiamo parlando e per farvi entrare nel cuore del libro, ho pensato che non ci fosse modo migliore se non quello di rendervi partecipi delle emozioni stesse provate dall'autrice, quando ha ideato il suo primo romanzo.
Di seguito l'intervista completa all'autrice che potete trovare anche sul mio canale YouTube.
Buona visione!

Anna Karenina è ancora viva - di Giulia Ciarapica
Intervista a Carla Magnani

venerdì 8 gennaio 2016

Il Messinese dipinto da Silvana La Spina


“Cercavo una pittura nuova, ma solo adesso capisco che cercavo una pittura che comunicasse l’idea d’una morale”.

L’artista che pronuncia queste parole è Antonio de Antoni, meglio conosciuto come Antonello da Messina, uno dei più grandi pittori siciliani del suo tempo, la cui arte si è dimostrata non solo dura e potente come la vita – di cui è fortemente impregnata – ma anche all’avanguardia.
Silvana La Spina nel suo ultimo romanzo L’uomo che veniva da Messina (Giunti, 2015, pp. 348) ci ha descritto proprio questo personaggio, il Messinese dall’animo inquieto e tormentato, esule ed errabondo per natura, votato alla lussuria dell’esistenza e vittima di una genialità talvolta incompresa.
Non si tratta di una semplice biografia, né ci troviamo di fronte ad un saggio sull’arte di Antonello da Messina, piuttosto il lavoro di La Spina è qualcosa che va oltre il semplice racconto, qualcosa che sfiora, tocca e indaga l’intimità di un artista che, prima ancora di essere artista, è sicuramente uomo.
L’autrice, nel ripercorrere le tappe fondamentali della vita del pittore, dà voce al Messinese stesso, che ora giace, quasi privo di forze, sul letto di morte, in attesa dell’ultimo importante viaggio. Antonello, infatti, è stato un grande viaggiatore, ha percorso l’Italia in lungo e in largo, arrivando addirittura a toccare l’Europa, in particolare la città di Bruges. Ed è proprio ora, al termine della corsa in questa vita terrena, che l’artista in preda agli ultimi spasmi di un delirio che lo riporta con la memoria alla sua infanzia, ai suoi primi esordi, fino all’apice della carriera, decide di confidare i ricordi di una vita al suo primo vecchio maestro, il Colantonio.
“«L’arte della pittura non è soltanto dipingere,» diceste ancora «ma è anche arte della vita. E se non possedete la seconda, a nulla vi serve la prima.»”
È con queste parole che si suggella il rapporto tra il Messinese e Colantonio, rapporto che nasce quando Antonello è ancora giovanissimo e da Messina compie il suo primo viaggio fino a Napoli, la città che lo formerà e che gli svelerà le fondamenta dell’arte pittorica. Ma Napoli sarà anche il luogo in cui Antonello, da un certo momento in poi, si sentirà meno al sicuro, il luogo dove le trame di corte, le invidie tra artisti e la lussuria a portata di mano gli faranno scoprire anche i lati più oscuri della vita.
Antonello capisce fin da subito che la sua vita sarà un peregrinare continuo, e così, concedendo libertà alla sua natura di esule, il Messinese approderà a Roma, approderà nella Mantova del Mantegna e perfino ad Arezzo, dove la penna di Silvana La Spina tratteggerà l’incontro di Antonello con il grande Piero Della Francesca in modo eccellente, fornendo anche un ritratto dell’artista aretino forse inedito ai più, ma certamente di grande spessore.
Ed infine, per Antonello, arriva il momento tanto atteso: prima di recarsi a Venezia e poi a Milano, il maestro compirà il viaggio della vita, se così possiamo definirlo, poiché sarà il viaggio che lo definirà e come uomo e come artista. Il Messinese arriva a Bruges – in compagnia dell’ormai inseparabile compagno di avventure (e sventure) Cicirello – dove non solo proverà l’ardore del vero amore, ma dove soprattutto troverà il segreto della pittura ad olio.
I pittori fiamminghi del Quattrocento dominavano la scena artistica del tempo e Antonello, fors’anche incattivito da un’epoca corrotta e affamata di gloria, è riuscito, al culmine della carriera, a raggiungere quello che per tutti i pittori italiani era ancora un mistero, la pittura ad olio, tecnica scoperta e sperimentata dal grande pittore fiammingo Van Eych. Bruges, tuttavia, per Antonello non sarà solo il porto in cui approderà la sua ossessione per la pittura dei fiamminghi, ma sarà anche la città che battezzerà la sua prima vera nascita di uomo. Qui il Messinese incontrerà per la prima ed unica volta l’Amore, che ha il volto candido e fresco di una giovane donna di nome Griet, figlia bastarda di Van Eych (fanciulla che, per descrizione e per provenienza, ma non per epoca, sembra assomigliare alla Griet di Veermer, protagonista del romanzo di Tracy Chevalier La ragazza con l'orecchino di perla, da cui è stato tratto l'omonimo film).
L’uomo che veniva da Messina ha indubbiamente qualcosa di diverso dalle altre vite romanzate di gradi artisti, e credo che questo qualcosa sia la passionalità, o meglio la verità passionale di cui ogni pagina è investita. Del vero Antonello si sa pochissimo, al punto che – come spiega anche l’autrice – per secoli le sue opere sono state attribuite ad altri, ma una cosa è certa: Silvana La Spina è riuscita non solo a descrivere accuratamente – ma senza mai scadere nell’accademismo di maniera – il periodo storico in cui Antonello è vissuto, ma è soprattutto stata in grado di accompagnare il lettore nell’intimità di un essere umano che è custode di una vita a dir poco tormentata. Tutto questo con uno stile assolutamente chiaro e cristallino, e tuttavia sanguigno, pulsante, proprio come la Sicilia, una terra tanto ostile, tanto aspra, quanto ricca e vivace.
Colpisce soprattutto il rapporto che proprio Antonello ha con la sua Sicilia, così amata e al contempo così odiata:
“È come una malattia, credetemi, mastro Colantonio. Un siciliano non vorrà mai che un conterraneo possa emergere, persino se il campo di cui si occupa è lontanissimo dal suo. È un vizio, un peccato d’origine in tutti i miei conterranei…”.
Il Messinese ha un rapporto ambivalente con la sua terra d’origine, dove nasce dove morirà, nella quale tornerà, anche se spesso malvolentieri – complice huna famiglia che cercherà in tutti i modi di ostacolarlo – ma da cui, comunque, capisce di doversi allontanare per compiere il balzo di qualità. Un’opera come quella di Antonello è destinata a valicare i confini dell’isola e sarà, anche, vittima dell’incomprensione: Silvana La Spina arriva a toccare le corde più intime dell’arte di Antonello, spiegando al lettore, attraverso le parole non dell’arte, ma della vita stessa, quale fosse il frutto geniale di quest’anima in pena. Basterebbe osservare i volti delle Madonne di Antonello, così come quelle del suo Cristo per percepirne la potenza: la scelta dei modelli a cui ispirarsi – prostitute, gente del popolo, a volte veri e propri relitti umani – denuncia la volontà da parte dell’artista di restituire all’arte qualcosa che dovrebbe appartenerle già per natura, l’autenticità.
“Eccolo qui il mio Cristo di dolore, pensavo intanto io, il mio Cristo Crocifisso senza altra colpa che la stoltezza degli uomini. Un Cristo che puzza di sterco e di ignoranza…”
È questo ciò che il grande Antonello desidera, fare un’arte che assomigli quanto più possibile alla vita vera, senza gli artifizi che privano i soggetti dipinti di credibilità: è forse Cristo colui che sedeva su di un trono e impartiva ordini come fosse il nuovo Re di Napoli? No, Cristo è il Messia degli umili, è il pastore che guida il gregge e si nutre della miseria umana.
Silvana La Spina racconta con ardore l’esistenza di un uomo votata all’arte, un’esistenza che è una continua tensione all’infinito, instancabile ricerca della bontà dell’essere umano stesso, dipinta su tela. Ogni personaggio vive di vita propria, sembra quasi fuoriuscire dalla pagina per essere toccato, accarezzato; e se Antonello è l’uomo del peccato, colui che ha peccato con gli occhi, con le mani, con i piedi – ma forse è proprio il peccato la conditio sine qua non per aspirare al vero successo artistico – Griet è la dolce incarnazione del candore supremo, di un amore senza tempo e senza spazio che, forse come tutti i grandi amori, è destinato a rimanere eterno con la sua stessa morte.

“Allora, verso la fine, ho capito che il mio cuore era pieno d’amore per l’umanità… Per questo le mie facce, i miei ritratti sono così diversi da tutti i loro ritratti. Ma non per questo sono un uomo buono. La mia arte è buona, non l’artista”.