Immaginate un
detective privato, uno di quelli che sembrano usciti da un film degli anni ’40,
con una strabordante ironia (anche nelle situazioni meno opportune, su,
diciamolo…) e un debole per le belle signore. Immaginate anche un lago, buio,
limaccioso, sinistro (e certo perché sennò che noir è?), una storia di intrighi
e vendette, e immaginate anche che in questa storiaccia ci siano di mezzo due
donne e una cospicua eredità (già le due donne insieme sarebbero state
abbastanza inquietanti).
Fatto? Bene, eccovi
servito Mistero sul lago nero di Massimo Cassani (Laurana editore, 2015, pp.
251, con una splendida copertina disegnata da Angela Varani), un romanzo che è a metà fra l’hard boiled, il giallo con il più classico
– ma solo apparentemente – degli investigatori e il comico, una miscela
esplosiva che ha reso questo libro uno fra i più divertenti e accattivanti romanzi
usciti alla fine del 2015.
“Un piano, ecco cosa mi ci vorrebbe! O una bella sbornia”.
(Foto di Nikita Guardini presso Rizzoli Galleria Milano)
Il caso, però,
si prospetterà più complicato del previsto, fin da subito: innanzitutto bisogna
spostarsi da Milano – ah, quant’è bella Milano – e prendere la strada che porta
a Viràte al Lago (no, non ho scritto male), sperduto paesino in cui troviamo un
lago (ovviamente il lago di cui sopra, quello buio e limaccioso e sinistro etc
etc) e tante anime in pena che lo popolano. Ma più che anime in pena sembrerebbero
anime destinate a far penare il povero Borri, che dovrà destreggiarsi tra
l’ostinato mutismo degli abitanti, una notevole collezione di multe, cinghiali
e relativo guardiano dei cinghiali e un piano diabolico ordito alle sue spalle.
Eppure la
richiesta di quella fanciulla dai capelli fulvi, dall’aria sì snob, ma complessivamente
normale, alta, bella e ben vestita, sembrava un gioco da ragazzi per il nostro
investigatore – che ci tiene a precisare che è un professionista, lui. In fondo
gli ha semplicemente chiesto di tenere d’occhio la sua sorellina – “un po’ ochetta”
– o per meglio dire, gli avrebbe chiesto di prenderla in castagna
fotografandola in atteggiamenti inequivocabili insieme all’amante di turno,
perché si dà il caso che tanto la cliente quanto la sorella siano le uniche
ereditiere di una grossa somma di denaro, lasciata dalla loro defunta zia –
molto religiosa, molto molto, tenetelo presente. Peccato ci sia una clausola
non trascurabile: un anno di astinenza per entrambe, dall’alcool per la cliente
di Borri, dal sesso per la sorellina ochetta. Intesi?
Ma questo
lavoretto all’apparenza facile facile si dimostrerà difficile difficile.
Naturale, dopotutto, vuoi mica andare in pensione senza aver fatto qualche fuoco
d’artificio?
Dalla penna
arguta e sarcasticamente umoristica di Massimo Cassani prende vita un personaggio,
quello di Mario Borri, che nel suo metro e sessantacinque scarso concentra
intuito, scaltrezza, audacia e più di un pizzico di sottile (ma forse neanche
troppo sottile) ironia. Quello che si presenta come il più classico degli
investigatori di tutta la storia dei gialli – completo di lino, borsalino, un
bicchiere di whisky sempre a portata di mano, ché non si sa mai, la sua
inseparabile Berta e una Renault color cacca che forse James Bond avrebbe
leggermente disprezzato, ma si fa quel che si può – in realtà è un tipetto
niente male che sa cacciarsi nei guai al momento giusto nel luogo giusto, vale
a dire esattamente quando non dovrebbe. E in fin dei conti bisogna dire che
l’originalità di questo detective sta nel fatto che è lontano anni luce dalla
definizione di detective classico, data da Siegfried Kracauer:
“Al detective vengono così riconosciute anche le qualità proprie del monaco. Simile a colui che se ne sta isolato nella propria cella, il detective sprofonda nelle proprie meditazioni, accompagnato solo dall’immancabile pipa, che sul piano estetico rivela la sua separazione dalla gente”.
Isolato nelle
sue meditazioni? Isolato dalla gente? Accompagnato dalla pipa? No, no, non ci
siamo, qui si parla di un professionista sì, ma sui generis, e che però, in quanto professionista per l’appunto,
alla fine riesce sempre a cavarsela – magari con l’aiuto di qualche relitto
umano, chissà.
Questa trama
originale e ricca di colpi di scena è infarcita anche di presunti ammiccamenti
cinematografici – oltre al fatto che si presterebbe benissimo a diventare un
film di successo: ho annusato un vago umorismo in stile Mel Brooks ed in più
c’è un particolare che fa capolino ogni tanto, è il mignolo di Borri. Questo
ditino che quando avverte un pericolo o una qualche situazione particolare
inizia ad agitarsi, mi ricorda tanto l’altro dito famoso della storia del
cinema, l’indice del bimbetto di Shining, quello che si muoveva al ritmo della
“luccicanza”, ricordate, no?
Mistero sul
lago nero di Massimo Cassani è il nuovo volto del thriller contemporaneo,
inzuppato di un’ironia che vi farà sorridere per tutta la durata del romanzo.
(Foto di Grazia Napoli)
Quattro chiacchiere in compagnia di... Massimo Cassani
Massimo Cassani, professione
giornalista e non investigatore privato, sei già al tuo sesto lavoro, Mistero
sul lago nero, ma questa volta non troviamo il commissario Micuzzi, bensì un sessantacinquenne
alle soglie della pensione di nome Borri. Chi è costui?
Mario
Borri è un ometto di centosessantacinque centimetri d’altezza che per
quarant’anni ha battuto i marciapiedi andando a caccia di corna, muovendosi,
atteggiandosi e tentando di parlare come una specie di Humprey Bogard, ma essendo
- e apparendo - tutto l’opposto. Gli piace raccontarsi così, gli piace sentirsi
come un personaggio di un film noir anni ’40. Ognuno hai i suoi modelli. A me,
però, alla fine della storia, è venuto anche un dubbio: e se Borri ci abbia
raccontato un sacco di balle? Se questa storia che Borri ci racconta in prima
persona come vera sia in realtà frutto della sua immaginazione? Pensa a certi
termini colti che usa o a certi suoi riferimenti all’architettura o alla Bibbia
un po’ troppo in contrasto con l’immagine da uomo della strada che vuole
venderci; o al suo progetto dichiarato di ritritarsi in Riviera a scrivere
romanzi. Un messaggio subliminale? Ma non sarà che dietro all’investigatore
privato Mario Borri si celi in realtà uno scrittore che non vuole rivelarci la
sua vera identità? Sono dubbi che mi sono venuti e che consegno al lettore.
Anche lo scenario cambia –
purtroppo per Borri, oltretutto. Non siamo a Milano, la tanto amata Milano, ma
in un paesino lacuale sperduto e preda dei cinghiali (e anche dei manzetti, se
vogliamo dirla tutta). E quindi giro il dito nella piaga e ti chiedo: cosa
apprezzi di più di Milano e perché?
Io
non sono nato a Milano, ma con Milano, per ragioni famigliari, ho sempre avuto
un legame molto stretto. Milano era presente nel mio immaginario personale fin
da bambino. Quando mi sono trasferito qui, mi è sembrato quasi di tornare a
casa, senza per altro lasciare mai, mentalmente, la mia casa originaria, in
provincia di Varese. Di Milano mi piace pensare che me ne posso andare quando
voglio e ci posso tornare quando voglio. Se qualcuno pensa che stia
parafrasando malamente Cesare Pavese, ha ragione.
Ora vorrei chiederti una cosa che è
soprattutto una curiosità personale, ma che forse molti lettori si saranno
chiesti. Tu che dal 2010 collabori con “La Bottega di narrazione”, scuola di
scrittura creativa di Laurana editore, condotta da Giulio Mozzi e Gabriele
Dadati, ci sveli come si fa a partorire una storia intricata e piena di colpi
di scena come quella che hai elaborato tu? Da dove si parte?
Difficile
rispondere in poche righe. Cioè, anche in tante, a dire il vero. Sulla
costruzione della trama ci sono fior di trattati di narratologia, per altro
piuttosto complicati a leggersi, per lo meno per me. Provo a dire una cosa. La
costruzione di una trama è un processo di selezione di eventi logicamente e
cronologicamente concatenati fra di loro. Quando si pensa a una storia, in
genere, ci vengono in mente situazioni che possono essere efficaci, dal punto
di vista narrativo, ma scollegate, come spesso sono scollegati i pensieri. Il
vero lavoro dello scrivere è la tessitura fra questi eventi, cercando sempre di
mettersi dalla parte di chi legge e pensare: quanto è prevedibile quanto sto
scrivendo? Se noi per primi non ci sorprendiamo, via, scartare. E pensare a
nuove soluzioni fin dove ci supporta l’immaginazione. Spero di essere stato
sufficientemente confuso.
Quali sono – se ne hai – i modelli
a cui ti sei ispirato e da cui hai tratto i maggiori insegnamenti per scrivere
i tuoi noir? In sostanza, quali sono i tuoi grandi classici del cuore?
Purtroppo,
prima di mettermi a scrivere, non sono mai stato un gran lettore di romanzi di
genere, poi mi è sembrato naturale cercare di capire cosa avevano scritto i
grandi. Da lì sono venute anche letture di Chandler e Hammet, per esempio.
Senza rendermene conto, fra i venti e i trent’anni, sono rimasto in ammollo in
Simenon, soprattutto dei suoi romanzi non polizieschi, e in Guido Morselli. Al
di là delle letture, credo però che il mio immaginario narrativo si sia formato
soprattutto al cinema. In certi periodi andavo al cinema anche due o tre volte
a settimana. Poi ho cercato di smettere.
A bruciapelo: tre motivi per
leggere il tuo libro.
Fa
sorridere. Fa sorridere. Fa sorridere.
A bruciapelo: tre motivi per non
leggere il tuo libro.
C’è poco da ridere, con
i tempi che corrono (signora mia…). Gli altri due motivi non mi vengono (dài,
sorridi).
Eppur manca qualcosa... l'illustratrice!
Quattro chiacchiere con Angela Varani
(Foto di Aldo Funicelli)
1)
Appena ho visto la copertina di Mistero sul lago nero di Massimo Cassani ho
esclamato: “È lei!”, e infatti sei tu. Ovviamente non parlo del soggetto della
copertina – l’investigatore privato Mario Borri – ma dell’autrice. Angela,
quando hai letto il romanzo di Massimo, ti sei subito immaginata, anche fisicamente,
il detective Borri?
Ciao Giulia,
intanto grazie per avermi chiamato in causa. Sono felicissima di aver realizzato
la copertina di Mistero sul lago nero
di Massimo Cassani, ed essere "riconosciuta" è per me un grandissimo
complimento, quindi grazie ancora.
Ricordo il
pomeriggio in cui ho incontrato l'autore e la casa editrice.
Agosto. Milano
era deserta e c'era un caldo infuocato. Dopo aver letto il materiale fornitomi,
ciò che mi ha permesso veramente di visualizzare il detective Borri è stato
chiacchierare con Massimo. Confrontarci.
Non ho avuto dubbi dal primo momento: quella era la faccia e
l'espressione di Borri. Dovevo solo decidere da dove "inquadrarlo" e
come gestire il mood del lago di background.
2)
So che, oltre a disegnare, anche tu hai la passione per la lettura. Qual è il
genere che preferisci? C’è un libro preferito che ti sentiresti di
consigliare?
Amo leggere,
questo è vero. Quello che è anche vero è che vorrei avere il tempo per leggere
di più.
Fino almeno ai
vent'anni ho letto principalmente gialli. Ho un amore spassionato per Agatha
Christie, che è stata una costante tra generi e autori differenti.
Da un po' di
tempo a questa parte, invece, ho alternato piuttosto equamente la lettura di romanzi
e noir di autori contemporanei, alla saggistica. Recentemente ho letto La nausea di J.P. Sartre e ho appena
concluso Lo straniero di A.
Camus. In questo periodo gli
esistenzialisti mi stanno dando spunti di riflessione davvero molto attuali.
Per rispondere
bene alla tua domanda, però, ti dico che non ho un libro o un genere preferito.
Dipende da come mi sento. Un po' la stessa cosa che mi succede con una canzone
o un genere musicale.
3)
Angela, ci illustri la tua attività di illustratrice? Da dove nasce questa
passione? Quanto tempo impieghi, mediamente, a fare un ritratto?
Disegno da tutta
la vita. Mia mamma è una pittrice. Io vivo l’urgenza di dire “la mia”
disegnando. Fare del proprio essere anche il proprio lavoro è un grande
privilegio.
Disegno
tantissimo. Disegno sempre. E mi do. Mi do all'illustrazione che realizzo e ai colori
che scelgo. Così tanto che per un periodo ho fatto addirittura fatica a
staccarmi dai miei lavori, perché con loro andava via anche un po' di me.
Tutt'oggi ci
sono sempre anch'io in ogni tratto, ma diciamo che ho imparato a gestire la
cosa.
Essere
un'illustratrice è la mia condizione ideale.
Per realizzare
un ritratto le tempistiche possono cambiare in base al soggetto, alla
dimensione e alla variabile costante di un lavoro artistico. In parole povere:
dipende se becco subito la somiglianza o no! Ahahaha! Ad ogni modo, il tempo
medio è di un paio di giorni.
4)
C’è un ritratto, un disegno, tra tutti quelli che hai realizzato, a cui ti
senti più legata? Se sì, quale e perché?
"L'omino
col peso".
Credo sia stata
la prima figura umana che ho disegnato. Mentre i bambini facevano mostri e le femmine principesse, io
disegnavo l'omino con il peso. Lo disegnavo ovunque. Vestito solo con
pantaloncini, fiero e sorridente che spingeva il manubrio al cielo con braccine
indecise.
5)
Chi volesse seguire i tuoi lavori dove può rintracciarti?
Sul mio sito angelavarani.com, oltre al portfolio e ai lavori, si trovano tutte
le informazioni che riguardano la mia attività e anche qualche curiosità.
Poi ci sono i
social. Da facebook www.facebook.com/angelavaraniillustration a
instagram o pinterest, twitter dove sono https://twitter.com/angelavarani.
Grazie ancora, Giulia, per le domande e per l'attenzione dedicatami!
...a voi una buona lettura!
Nessun commento:
Posta un commento